
Di Niccolò Alfieri
Lo scopo della presente disamina non è quello di mostrare in dettaglio lo sviluppo di tutto il pensiero di Federico Nietzsche, né di scandagliare ciò che è emerso come sistema filosofico dalla sua molteplice e ricca attività, ma, piuttosto, di provare a disegnare i contorni di una figura spesso sottovalutata e privata d’interiorità. Si parla infatti di un «Nietzsche aforista», di un «Nietzsche psicologo» e «poeta›», ma il «Nietzsche politico» è quasi sempre oggetto di svalutazione, di degradazione; si tratta di un processo di svilimento, nei confronti del grande pensatore tedesco, messo in atto dalla Chiesa Democratica del Filosoficamente corretto, che obliando dal suo testamento spirituale ogni elemento risolutivo, decisivo, ha ridotto il «dinamitardo» ethos nietzscheano a un tassello del «pensiero debole», dell’odierno nichilismo passivo. Che coraggiosa ironia!
Questo articolo sarà diviso in due parti: la prima dedicata al lato biografico del pensiero politico nietzscheano, la seconda all’essenza del pensiero politico di Nietzsche in sé. Però, andiamo per ordine; l’aprioristico «utilizzo ideologico-etico» di Federico Nietzsche, eventualità comparsa ad esempio nei primi tempi del secolo scorso, non tenne mai conto di una natura politica già intrinseca nella sua filosofia. Perché lui, che cercava nell’uomo la grandezza, la forza e la vita, nonché le condizioni di una gerarchia dell’esistenza e di un’ordine che ne tenessero conto, vedeva intorno a sé, in un contesto storico come quello di fine Ottocento, proprio il declino inesorabile dell’uomo e della civiltà verso la totale dissoluzione.
La vita e la negazione del suo tempo: questo è il conflitto umano, politico e intellettuale di questo pensatore ed è allo stesso tempo il segreto della sua tragica profezia sul mondo del futuro. Per poter comprendere a pieno sia la filosofia sia la politicità di Nietzsche, bisogna saper riconoscere in che tipo di ambiente storico e culturale quest’ultimo visse e maturò le sue idee: come detto, trattasi degli ultimi tempi del XIX secolo. Un’epoca di grandi speranze e, al contempo, grandi disillusioni. La ripresa nazionale dei paesi europei era affiancata dalle dinamiche movimentate della Seconda era industriale, lo sviluppo delle arti e della cultura era in sincronia con il crepuscolo degli idoli. Emergevano, in seno a questo decantato progresso economico, gravi tensioni sociali e il crollo di tutto quanto aveva dato forma a Stati e culture; guerre e rivoluzioni si intravedevano all’orizzonte. Ciò, come già fatto intendere, è imprescindibile dall’esistenza di Nietzsche: egli vedeva dietro alla modernità non solo una minaccia, ma una dura sorte. Il Vuoto, un Grande e informe Vuoto, si stagliava oltre i decrepiti valori del Nichilismo, ed egli ne temeva le conseguenze più estreme; le conseguenze della totale perdita di senso nella vita degli uomini, della totale perdita di ogni certezza e «verità». Fu colto allora da una domanda profonda: chi avrà il coraggio per «infuriare contro il morire della luce»?
Nel 1870, all’età di ventisei anni, Federico Nietzsche si arruolò nella Guerra franco-prussiana, sperando nella «Germania eroica» del Secondo Reich. In questo sogno, ben coltivato e contemplato dagli intellettuali tedeschi dell’epoca, il solitario professore vedeva niente di meno che l’antidoto all’intravisto disastroso destino della Civiltà. Studioso della Grecia classica e cultore dell’antichità, fin da subito mise su un piano di paragone l’Europa moderna e l’Antico mondo ellenico: per egli, la dissoluzione dell’autentico spirito greco (rappresentato dall’equilibrio fra Dioniso e Apollo) aveva dato inizio a un millenario ciclo storico di decadenza, di graduale involuzione, giunto al suo stadio finale col capitalismo ottocentesco.
Solo con la rinascita dello stesso spirito ellenico in Europa (e, specialmente, in Germania), dunque, questo declino della civiltà umana poteva essere arrestato, e la «clessidra della storia» reinvertita. Si avverte già una concezione, potremmo dire, «ciclica» dello sviluppo storico, un accenno all’«eterno ritorno». Ma la negazione della modernità, che è il fulcro della prima opera del filosofo, Nascita della tragedia, non ha nulla del passivo nostalgismo: non solo è una negazione battagliera, ma guarda speranzosa alla possibilità di una radicale trasformazione del presente in Europa.
Però, facciamo un passo indietro fino agli anni sessanta: diverso tempo prima della stesura di «La nascita della tragedia», un giovanissimo e brillante Nietzsche studiava a Bonn, città della Germania occidentale. Qui, come riportato in una lettera alla sorella e alla madre, lo studente si recò a rendere omaggio alla tomba di Ernst Moritz Arndt, eroe popolare della resistenza antinapoleonica tedesca.1 Il momento in cui cade questa visita è significativo: è l’ottobre 1864, imperversa la guerra combattuta al fianco dell’Austria per strappare alla Danimarca i ducati di Schleswig, Holstein e Lauenburg. La Prussia ha dato inizio al processo di unificazione dei territori germanici. Due anni dopo, alla notizia dello dichiarazione di guerra di Bismarck agli austriaci, il futuro filosofo si firma in una lettera come «granadiere prussiano», pronto a impugnare le armi.2 Segue poi con trepidazione lo svolgimento delle operazioni militari. Per lui, questo conflitto potrà «produrre in Germania un’unità spirituale».3 Come si vede, pur tendendo a qualche tono melodrammatico, il giovane Nietzsche rivela un senso robusto della realtà storica e politica. In questo momento, affine sembra essere l’identità col programma politico del cancelliere di ferro, che a Berlino ha assunto la guida del governo. Bismarck è stato il protagonista di una rivoluzione dall’alto, che sul piano internazionale vede il suo principale antagonista nella Francia di Napoleone III. Si comprende allora l’entusiasmo, culminato nel successivo conflitto franco-prussiano, espresso dal giovane Nietzsche. Ideale politico e ideale artistico qui si fondono: infatti, il professore di Basilea vede nella Germania di Wagner e Bismarck (Genio e Capo, entrambi circondati da un’aura di mito) l’epicentro di un ritorno spirituale alla grecità. Ma il conflitto a cui Nietzsche partecipa con grande entusiasmo (e con lo stesso pathos che si avverte nella sua opera prima), si dimostra tutt’altro che glorioso: non nel senso che si riveli troppo spaventoso agli occhi del pensatore, ma l’esatto opposto. Mancano l’areté, l’ardore e la potenza che Nietzsche aveva proiettato sull’Impero tedesco. La guerra non riesce a radicalizzarsi, a mutare in «atto purificatore», ad affrontare la sfida dell’Untergang della civiltà.
Il mondo moderno si dimostra inadeguato agli appetiti di grandezza del filologo prussiano. Ormai è chiaro: anche l’ordinario di Basilea, alla fine del conflitto, ha perso fiducia in ogni patriottismo. La «civiltà decadente» non sarà redenta dalla «missione tedesca». È già stato detto: siamo in tempi decisivi per lo sviluppo del capitalismo industriale e della democrazia. Anche in Germania, la borghesia, da «piccola proprietà modesta», è passata alla sua forma più parassitaria. L’utilitarismo dilaga, i profittatori crescono. Lo scontro sociale si fa più teso. E ora sparisce anche quanto vi era rimasto di aristocratico, di sublime e di fiero nel mondo moderno, lasciando spazio a ciò che vi è di più caduco, sterile, infinitamente mediocre. Ma qual è il motivo dietro al «voltafaccia» dello «spirito prussiano»? Nel momento in cui andava adempiuto dalla Germania il compito del suo tempo, cioè il dispiegamento e la costruzione della società borghese moderna, questa ha rispolverato grandi ambizioni, «frasi romane», missioni storiche e passionali miti, ma ora che questo compito è stato esaudito, tutte le leggendarie reminiscenze sono spazzate via dalla corposa concretezza del modo di produzione capitalistico. La genealogia greco-germanica, alla cui il «clero» artistico-culturale-politico si era aggrappato come modello, va quindi in crisi poiché lo stile di vita mercantile, moderno, «ebraico», «francese», si sviluppa anche – e soprattutto, si può dire – nell’«eletto» territorio prussiano, e, paradossalmente, sotto l’egida del medesimo «ideale germanico». La crisi della «Tradizione» porta Nietzsche a una rivalutazione radicale delle convinzioni del passato; gli impone non solo una rilettura in profondità della storia e della genealogia, ma anche una riesaminazione delle categorie filosofiche e politiche dapprima patrocinate.
Appunto, facciamo un paio di passi avanti fino ad Umano, troppo umano, l’opera che più di tutte rappresenta la metamorfosi nel modo di pensare del filosofo: nel suddetto libro, Nietzsche è costretto a prendere atto che è fatica sprecata voler procedere a differenziazioni interne al panorama politico europeo: nazional-liberali, conservatori, democratici e socialisti non sono poi così diversi, in quanto «il carattere demagogico e l’intenzione di influire sulle masse sono attualmente comuni a tutti i partiti politici» 4 . La massificazione non lascia scampo a nessuno. A questa sorta di informe marasmus Femininus, ormai accettato a pieno titolo dal Secondo Reich, Nietzsche guarda con ribrezzo e profonda delusione. La rottura finale con la Germania bismarckiana avverrà intorno alla seconda metà degli anni settanta, quando il capo del governo incoraggia uno sciovinismo «cieco» nel suo paese e, così facendo, anche nella rivale Francia, mentre al contempo sostiene gli ambienti clericali. L’Impero Tedesco minaccia, col suo atteggiamento, di far esplodere l’Europa in una guerra fratricida, e di «dissanguare le forze migliori di quel periodo storico».5 Nietzsche si augura l’avvento di nuovi rapporti in Europa, all’insegna dell’unità e della comunione spirituale6 , e ora, più scettico e obiettivo, si rifiuta di (ri)leggere la Guerra franco-prussiana in termini di scontro tra civiltà contrapposte. L’avversità per le «insanie nazionaliste»7 si fa più evidente, così come, nel mentre, via via spariscono gli spettri revanscisti della «grecità germanica». La critica del nazionalismo stimola allo stesso tempo nel pensatore una presa di posizione, sia filosofica che politica, per l’Illuminismo. Abbandonato il «gretto» sentimento nazionale, ecco mostrarsi una propensione maggiore verso lo sviluppo scientifico, la «liberazione del pensiero», l’incontro tra le culture e «l’entusiasmo sprezzante delle vecchie autorità»8. Il modello non è più prettamente la grecità, ma il Rinascimento. L’avversario, simbolo dei valori opposti a quelli «rinascimentali», invece si ritrova nella Riforma tedesca, «plebea e reazionaria»9, e nella sua eredità.
La lotta tout court alla modernità per il recupero delle radici antiche si può dire invece che muti, in questa fase, piuttosto in una volontà di rinnovamento e svecchiamento che possa sfaldare le basi (tutte frutto del «passatismo») della dissoluzione, del caos e del nichilismo odierno: nazionalismo vetusto, utilitarismo, socialismo, democrazia, cristianesimo, liberalismo, xenofobia, bellicismo ecc. ecc.. Nietzsche ora auspica una graduale trasformazione delle idee che possa risolvere le contraddizioni vigenti. Traspare anche il testé citato «paneuropeismo» e una forte avversione ai «dispotismi».10 Tra il 1878-80 (gli anni maggiormente contrassegnati dall’illuminismo) e il 1882, l’anno della pubblicazione della Gaia scienza, si avverte un’evoluzione continua nella visione del mondo di Nietzsche, costantemente stimolata dagli sviluppi del clima politico in Europa. Se la prima fase era contraddistinta dagli entusiasmi riposti al Secondo Reich e dalla missione «antidemocratica» e «antimoderna» da compiersi, e la seconda – «illuministica» – dall’attenuarsi del fervido «grecismo» e dall’opposizione allo sciovinismo crescente tra le nazioni europee, in quale contesto storico e politico va collocata la terza fase? Siamo agli inizi degli anni ottanta: Guglielmo I avvia una serie di riforme sociali «cristianeggianti», e, al contempo, conduce una durissima repressione nei confronti del movimento operaio in Germania. La possibilità di una «guerra sociale» intimorisce il filosofo, il quale però, distaccatosi dalla «teutomania», si augura l’«auto-decomposizione»11 del Reich.
Se c’era stata in Nietzsche una qualche affinità col liberalismo e col conservatorismo, questa va a scomparire quando in Europa i due poli della politica si dimostrano facce della stessa medaglia chiamata «mediocrizzazione democratica».
«Liberalismo – Imbestiamento dell’umanità in gregge»12
«Noi non siamo conservatori: non conserviamo nulla, non vogliamo neppure regredire in alcun passato»13
Così, anche il movimento socialista, già criticato aspramente, viene nuovamente rimproverato dal pensatore per il suo presunto velleitarismo e subalternità al «democraticismo». Emerge chiaramente lo spettro di un nuovo partito politico di cui andremo nel merito più avanti. Trascorrono gli anni. Nel marzo del 1888 muore Guglielmo I, e il trono prussiano viene ereditato da Federico III, gravemente ammalato e in fin di vita. Nietzsche segue la «politica dinastica» di quei giorni, e, alla morte prematura del nuovo imperatore tedesco, egli – come si legge in una lettera del giugno ‘88 – si «commuove». «Infine (Federico III n.d.r) era un piccolo raggio di luce di libero pensiero, l’ultima speranza per la Germania. Adesso inizia il regime Stöcker – ne traggo le conseguenze e so già che ormai la mia Volontà di potenza sarà subito confiscata in Germania».14
Al contrario del defunto Federico, Guglielmo II, imperatore di Prussia, è assai osteggiato da Nietzsche. Questi è «cristiano» e «sciovinista», parla – con ipocrisia – di «liberare i neri schiavi domestici per amore degli schiavi» e, al contempo, «diffonde il dente di drago del nazionalismo fra i popoli».15 La campagna coloniale abolizionista promossa dal Reich si presenta talvolta come crociata contro il mondo musulmano; e ciò già basta a far indignare il filosofo, che, dopo aver lodato gli «istinti aristocratici» propri del mondo islamico, pronuncia una parole d’ordine provocatoria: «Guerra senza quartiere a Roma! Pace, amicizia con l’Islam».16
Apriamo una parentesi sull’abolizionismo: vittima della carica dissacratoria del filosofo è, specie nell’ultimo periodo — tempo di espansione coloniale per l’Occidente liberale —, la presunta motivazione «umanitaria» dietro gli atti imperialistici delle potenze occidentali.17 «Parità di diritti, filantropia, amore della pace, giustizia, verità: tutte queste grandi parole hanno valore solo nella propaganda, come stendardi; non come realtà, ma come abbaglianti parole d’ordine in funzione di qualcosa del tutto diverso (anzi opposto!)».18 Questo frammento sembra criticare con largo anticipo le ideologie della guerra «filantropica» che si sono scontrate nel Novecento e quelle che continuano a compiersi ancora ai giorni nostri. Ciò ha luogo nel momento in cui il colonialismo occidentale giustifica la sua espansione come «allargamento globale della democrazia», «diffusione dei diritti umani» in territori «arretrati». Senonché, l’avanzata della «crociata umanitaria» – talora intesa nel senso letterale e cristiano del termine – va di pari passo con l’assoggettamento della popolazione indigena al lavoro più o meno coatto e persino con una vera e propria recrudescenza del lavoro servile, nonché con la disgregazione e la distruzione della cultura autoctona.
Ma questa presa di posizione di Nietzsche va contestualizzata: negli ultimi decenni dell’Ottocento, infatti, Bismarck decide di agitare anche lui la parola d’ordine dell’abolizione della schiavitù nel mondo coloniale e dell’espansione della civiltà e dei principi umanitari. Ed ecco rivolgersi a suoi collaboratori in questi termini: «Non sarebbe possibile reperire dettagli raccapriccianti su episodi di crudeltà?». Sull’onda dell’indignazione morale da essi suscitata sarebbe stato poi più agevole bandire la crociata contro le terre «barbare» e rafforzare il ruolo internazionale della Germania.19
Proseguiamo. Gli ultimi mesi di vita cosciente del filosofo vedono le problematiche del Secondo Reich avvicinarsi al punto di rottura. Le inimicizie tra Prussia e Francia, la quale ha stipulato un patto con la Russia, si inaspriscono. Si prepara la guerra su più fronti. La monarchia sociale si dimostra un fallimento; l’esercito spara sui minatori in sciopero, che quindi si accingono a organizzare una rivalsa. Si potrebbe dire che le contraddizioni della società capitalistica raggiungono, in quel momento storico, un punto critico. Il pensatore è forse spaventato da questo contesto travagliato?
No, anzi: ci sono tutti i presupposti perché una «forza superiore» possa imporre il suo comando (Befehl) nel disordine. È il momento della Grande Politica.
«Alla fine potremmo fare a meno anche delle guerre; un’opinione giusta potrebbe, in certe circostanze, già bastare. Una carrozza con sbarre di ferro per gli Hohenzollern e altri Svevi… Noi altri ci metteremo immediatamente al grandioso e sublime lavoro della vita: abbiamo ancora da organizzare tutto! Vi sono mezzi più efficaci per portare in onore la fisiologia che non i lazzaretti: io saprei fare un uso migliore dei 12 miliardi che oggi la pace armata costa all’Europa. Ma tutto questo ha fatto il suo tempo. Mi si consegni questo giovane delinquente; non esiterò a corromperlo: io stesso voglio fare divampare nel suo maledetto spirito di delinquente la fiaccola incendiaria. — Il Reich medesimo poi non è altro che una menzogna: un Hohenzollern, un Bismarck non hanno mai pensato alla Germania… Per questo, tutta la rabbia contro il prof. Geffcken… Bismarck ha preferito ricorrere alla polizia e ai tribunali riempiendosi la bocca con la parola “tedesco” . . . Io penso che alle Corti di Vienna e Pietroburgo si facciano di gran risate; tutti conoscono appunto questo compare di parvenu, che finora non ha mai detto, neppure per sbaglio, una parola assennata (e forse neppure una stupidaggine!). Costui non è davvero un uomo che pensi a conservare i Tedeschi, come afferma. Ultima considerazione — Per farla breve, anzi brevissima: dopo che il vecchio Dio è stato abolito, io sono pronto a governare il mondo . . . — condamno te ad vitam diaboli vitae Nel distruggerti, Hohenzollern, distruggo la menzogna».20 Queste parole dal tono duro, violento, polemico, sono la feroce dichiarazione di guerra del «filosofo col martello» alla Germania e alle classi dirigenti della Vecchia Europa. In questo contesto bisogna collocare l’appello di Nietzsche ai «buoni Europei» perché si uniscano in una «Lega anti-tedesca»: il bersaglio è costituito appunto dal Secondo Reich di Guglielmo II, il peggio della «decadenza europea». Per poter aver la meglio su questo «mostro» chiamato «Germania», bisognerà agire «risolutamente». Nell’ultimo tempo Nietzsche insegue la speranza che si possa mettere in moto un processo che si concluda col detronamento, la cattura ed addirittura la fucilazione di Guglielmo II. «Poiché si tratta di un colpo mortale (Vernichtungsschlag) contro il cristianesimo, è chiaro che l’unica potenza internazionale che abbia un interesse istintivo all’annientamento (Vernichtung) del cristianesimo sono gli ebrei: di conseguenza dobbiamo poter contare sulle potenze decisive di questa razza in Europa e in America; a parte tutto, tale movimento dispone delle grandi risorse di cui c’è bisogno. Qui c’è l’unico terreno naturalmente preparato per la più grande guerra e la più grande decisione della storia: il resto dei seguaci può essere preso in considerazione solo dopo aver inferto il colpo. Questa nuova potenza, che si formerà, potrebbe subito diventare la più grande potenza mondiale: supponendo che inizialmente le classi dominanti prendano posizione a favore del cristianesimo, ecco che esse vengono minacciate dalla scure già alla radice, per il fatto che tutti gli individui forti e vitali si staccheranno necessariamente da esse. Non c’è bisogno di essere psicologi per comprendere che, in tale occasione, tutte le razze spiritualmente malate sentiranno il cristianesimo come la fede propria dei dominatori e di conseguenza prenderanno posizione a favore della menzogna. Il risultato è che, a questo punto, la dinamite farà saltare in aria ogni organizzazione militare, ogni Costituzione; sicché il fronte nemico risulterà disarticolato e impreparato per la guerra. Tutto sommato, avremo al nostro fianco gli ufficiali in virtù già dei loro istinti: che sia sommamente disonorevole, vile e sudicio essere cristiani, tale giudizio risulterà inevitabilmente dalla lettura del mio Anticristo […]. Per quel che riguarda l’imperatore tedesco, so come trattare tali idioti di colore (braune Idioten); qui si misura un ufficiale ben riuscito». 21
Aggiunge: «Se cerco quali sono i miei alleati naturali, essi sono prima di tutto gli ufficiali: con l’istinto militare in corpo non si può essere cristiani — altrimenti si sarebbe falsi come cristiani e falsi come soldati». Alla luce di queste considerazioni, non ci sono dubbi sul fatto che la «lega anti tedesca» e il colpo di Stato agognati dal filosofo siano di segno eversivo, e il segno eversivo è altresì il progetto della Große Politik, del dominio della nuova casta aristocratica sul mondo travolto da una «nuova età guerriera».
Dopo aver esposto in maniera generale il rapporto tra il percorso di vita di Federico Nietzsche e il contesto storico-politico in cui esso si svolge, possiamo tirare le conclusioni per quanto riguarda la natura del suo pensiero politico.
Storia, Stato e Civiltà
Le basi che daranno forma al concetto di Eterno ritorno dell’uguale – ma forse anche le estreme conseguenze di questa visione del tempo – risiedono nell’immagine ciclica che il filosofo serba alla Storia delle società umane quale eterno cerchio fondato sul principio infinito di ordine-declino-caos-ordine, o meglio, sul periodico decadere e ricostituirsi delle civiltà. Anche Osvaldo Spengler, nel suo «Tramonto dell’occidente», arriva a conclusioni simili. Nietzsche vede nel suo presente il risultato di una crisi millenaria partita da Socrate e propagatasi fino alle Rivoluzioni borghesi e all’industrializzazione. Il «ciclo storico della decadenza» ha il suo inizio quando le grandi civiltà dell’antichità (da Atene a Roma), per Nietzsche portatrici di un ordine primordiale e naturale, quello del «più forte» sul «più debole», subiscono una «corruzione» e vanno verso il loro inesorabile declino, il quale infine conduce all’opposto caos – il mondo moderno. Se però consideriamo l’Eterno ritorno, una volta raggiunto lo stadio finale della «dissoluzione», l’Ordine andrà a ricomporsi. Ma cosa fece «decomporre» le antiche civiltà? L’inversione dei valori morali. Il «buono» dell’epoca, cioè il forte, colui con «più vita» e maggior «potere spirituale», all’apice della gerarchia, diventa il «cattivo», mentre colui con «meno vita» si fa «buono». Da qui l’origine della tragedia.1
Lo spirito tradizionale delle antiche civiltà era simboleggiato da uno Stato organico, e, ancor di più, era personificato in un tipo di uomo. La decadenza storica, e così anche politica (con Stati sempre più disgregati), si fa infine decadenza anche della pianta-uomo. Nietzsche dunque rifiuta la visione lineare dell’evoluzione, abbracciandone una «circolare». Infatti abbiamo detto che questo declino verrà arrestato, ossia, si chiuderà, e la civiltà avrà modo di riordinarsi. Per mezzo di che cosa? Una nuova aristocrazia della volontà di potenza che, dando un urto agli ultimi sbilenchi valori del mondo moderno, si ergerà a capo di un «nuovo ordine vitale», ricostruendo l’autentica civiltà e ripristinando le forme originarie dell’Essere nel mondo. Procediamo, però, a un’analisi sul ruolo dello Stato nel pensiero politico Nietzscheano: seguendo la cronologia di questo particolare arco di riflessione, abbiamo in primis un Nietzsche (fine anni 1860-1873 circa; quello della «grecità tragica» e della «Germania eletta») che auspica la formazione – in seno al Reich bismarckiano – di uno Stato al servizio della cultura, che sia, al contempo, realtà istituzionale della «missione tedesca».2
Uno Stato «al servizio della cultura», o meglio, uno Stato come «dittatura al servizio del Genio»; ma non solo: un grande ruolo, infatti, in questo modello, è affidato al «ceto militare» e alla «guerra», che insieme offrono «l’archetipo dello Stato».3 Il paradigma di partenza è quello della «statualità dorica», consacrato da Dioniso attraverso Apollo, dalla vitalità che si impone con l’ordine e l’autocontrollo. Tuttavia, come già detto, qui lo Stato non è un fine, ma un mezzo: un mezzo dello spirito e dell’Arte. Nell’Antica Grecia, idolo del giovane Nietzsche, era infatti la Kultur che comandava la politica, non il contrario. L’abbandono dei sogni ellenisti e pangermanici porta il filosofo, tuttavia, a rivalutare anche le sue posizioni politiche: la sintesi di questa metamorfosi è presente nel capitolo otto di Umano, troppo umano, «Uno sguardo allo Stato»; qui vediamo emergere il quadro nietzscheano della crisi dello Stato-nazione in Occidente. Nell’aforisma 472 Nietzsche argomenta che la democrazia moderna è «la forma storica della caduta (Verfall) dello Stato». L’affermarsi del modello politico democratico porterà il governo ad assumere la stessa posizione del popolo in materia di religione. La molteplicità delle opinioni in merito condurrà a considerare la religione come «affare privato» e sorgeranno, quindi, società che lotteranno tra di loro. Infine «la sfiducia verso qualsiasi governante, la comprensione dell’inutilità e della gravosità di queste lotte di corto respiro è destinata a spingere gli uomini a una decisione completamente nuova: all’abolizione del concetto stesso di Stato», alla soppressione dell’antitesi «privato-pubblico». Gruppi privati incorporeranno gli affari statali; persino il governare sarà compito di «imprenditori privati». Sicché «il disprezzo, la decadenza e la morte dello Stato, la liberazione della persona privata (mi guardo dal dire: dell’individuo) saranno la conseguenza dell’idea democratica dello Stato; in ciò consiste la sua missione».4
Il trionfo del privato, però, è la sfera della produzione capitalistica, della «burocrazia del profitto», del denaro, in cui la grandezza, piegata alla logica utilitaristica e alienata dalla «frenesia del lavoro»5, non ha possibilità di manifestarsi. Non c’è differenza, per Nietzsche, tra chi grida «Quanto più Stato è possibile!» e chi grida «Quanto meno Stato è possibile!» 6 ; da un lato c’è la «mediocrità burocratica» e dall’altro l’alienante sfera economica privata. Il processo di democratizzazione in atto nel mondo occidentale, così, si sviluppa contemporaneamente all’aumento degli scambi economici: ciò non appare solo disastroso agli occhi del filosofo, anzi: questa «fine» del vincolo dei «limiti nazionali» potrà dare luce a una «cultura superiore». Nietzsche inquadra un indebolimento che condurrà inevitabilmente alla distruzione delle nazioni (Vernichtung der Nationen), per lo meno di quelle europee: ne deriverà una «Mischrasse», quella dell’«uomo europeo», alla quale dovranno contribuire tutti i popoli dell’Europa.7 Agiscono contro tale processo «determinate case regnanti e determinate classi (bestimmte Klassen) del commercio e della società».8 Ma se il processo si compirà fino in fondo, la storia dell’Europa sarà davvero forse una continuazione di quella greca. Riconosciuto ciò, «bisogna dirsi francamente solo buoni Europei e contribuire con l’azione alla fusione delle nazioni»9. Arriva a propugnare, in questa fase: sul piano politico, una federazione europea in cui ogni popolo abbia l’autonomia dei cantoni svizzeri; sul piano sociale, l’eliminazione delle grosse fortune mediante un’imposta progressiva sul reddito che impedisca l’arricchimento eccessivo e favorisca un’economia prospera. Per quanto concerne la gestione del governo espone idee affini al modello «tecnocratico»: ossia, al fine di garantire l’indipendenza degli interessi personali bisognerebbe escludere dal suffragio politico i nullatenenti e i ricchi ed impedire l’organizzazione dei partiti, riservando il potere decisionale ai «competenti più specializzati».10
Nell’ultima fase, la politica non solo assume un ruolo più importante – anche perché una certa rilevanza la possedeva già -, ma piuttosto, diventa centrale in alcuni notevoli concetti. La visione che conduce all’archetipo del Superuomo (1882-1888) è collegata alla nozione di «grande politica» e al progetto di un’unione dell’Europa. In questo periodo, Nietzsche arriva ad auspicare il «crollo rivoluzionario di tutta» la «civiltà»11 , cosicché le «nature forti» possano imporre il loro comando nell’anarchia. Che ruolo ha lo Stato in questo caso? Sempre il ruolo di mezzo, di strumento (apollineo) perché il dionisiaco si inneschi, perché i nuovi aristocratici acquisiscano il dominio. In ciò, vi è un’affinità con la concezione marxista-leninista di Stato, quale mezzo di una classe per elevarsi e sovvertire l’altra. Il punto d’approdo della riflessione di Nietzsche sull’argomento si palesa: lo Stato è il mezzo della volontà di potenza sul piano politico; la vita dello Stato che Nietzsche preconizza invece consiste nel rapporto gerarchico «fra coloro che comandano e coloro che sono comandati» (Führer und Geführtem).12 Questa forma politica è organica, rinsalda la civiltà e la gerarchia (Rangordnung) sulla natura: il posto nella scala del comando e dell’obbedienza misurato secondo l’essere di ciascuno, nel quale il grado non è sinonimo di utilità economica quanto di volontà di potenza. Ecco, allora, profilarsi una teoria aristocratica dello Stato.
Stato, che abbiamo detto essere strumento, non fine, con il quale allevare un tipo umano superiore; quest’ultimo sarà frutto del sentimento collettivo della totalità, di tutto l’ordinamento sociale. Se Nietzsche crede che ogni modello politico, e ogni civiltà, dia alla luce in ultima analisi una razza d’uomo, allora lo Stato deve dapprima diventare idolo nel processo di «costruzione» del Superuomo, e poi questi prenderà il sopravvento distruggendo gli ultimi rimasugli della forma statuale13 — di nuovo assonanze con la teoria marxista-leninista. Dunque, abbiamo il paradigma teorico della Grande Politica, ma non il mezzo pratico che potrà realizzarla. Il nuovo partito della vita In virtù di ciò, sempre sul finire della sua produzione filosofica, Nietzsche esprime l’aspirazione a fondare o a contribuire a «fondare un partito della vita» ovvero un «nuovo partito della vita», chiamato a condurre sino in fondo la lotta contro la «decadenza democratica» e guidare l’avvento della «superumanità».14 «Prima proposizione: creare un partito della vita abbastanza forte per realizzare la grande politica. Seconda proposizione. La grande politica vuole affermare la fisiologia sopra tutti gli altri problemi; vuole creare una potenza abbastanza forte per allevare l’umanità come un tutto superiore, con spietata durezza contro la degenerazione e il parassitismo della vita – contro ciò che corrompe, avvelena, calunnia, manda in rovina . . . e nella distruzione della vita scorge il contrassegno di una specie di anime superiore.
Terza proposizione. Il resto segue da quanto precede»15
Il nuovo «partito», del movimento rivoluzionario, farà propria la spregiudicatezza, lo spirito di lotta, l’avversione ai valori borghesi «filistei» e il radicalismo. Inoltre, Nietzsche dichiara in Ecce homo: «Non possiamo essere altro che rivoluzionari». 16 Emersa già negli appunti preparatori della terza Inattuale, l’aspirazione ad assimilare dal movimento socialista, oltre a quanto detto, anche la bandiera della rivoluzione, diviene un tratto caratteristico del nuovo partito. S’impone così una rottura col passato. Il nuovo schieramento è anti-democratico, anti-borghese, al di là dell’individualismo e del socialismo; non ha nulla a che vedere col tradizionalismo «plebeo», lo sciovinismo e il conservatorismo «clericaleggiante». 17 I soldati del partito sono chiamati alla «durezza e al vigore verso sé stessi»18, alla «fierezza» (Stolz) e alla lotta più radicale. Il nemico è la decadenza, il nichilismo, e l’esemplificazione di questi è la rozza borghesia al comando, «gli industriali grassocci dalla famigerata volgarità»19 con cui il radicalismo aristocratico «non ha nulla a che fare». Qui un piccolo inciso: l’avversione allo «spirito borghese» è un continuum dell’opera nietzscheana, fin dagli inizi: la causa principale di questa inimicizia è che, per il filosofo, la borghesia europea del diciannovesimo secolo esemplifica il modello della «putrida classe dominante corrotta»20 , e la sua «ideologia capitalistica», invece, viene considerata una «volgarità aberrante»21.
Smisurato è il disprezzo di Nietzsche per lo «spirito del commercio come spirito dell’epoca».22 La borghesia, così come la «grande massa», è appunto mediocre, interiormente povera e vuota, ma soprattutto è pavida, non in grado di designare grandi prospettive e di correre grandi rischi. E per questo, dagli spiriti più puri, più alti, più «ricchi» spiritualmente, emergerà l’embrione del movimento allo stesso tempo sovvertitore e ordinatore finalmente capace di colpire e cambiare radicalmente l’Europa. «Io mi rallegro del progresso militarista dell’Europa e anche delle condizioni d’anarchia : il tempo della quiete e del Chinesismo che il Galiani predisse per questo secolo, è passato. L’abilità personale e virile, la robustezza corporea ritornano in valore, le valutazioni diventano più fisiche, i nutrimenti più carnivori. Diventano di nuovo possibili degli uomini belli. La pallida ipocrisia (con mandarini alla testa come sognò il Comte) è passata. Il barbaro e anche l’animale selvaggio è affermato in ognuno di noi»23 E quali saranno i mezzi con cui il nuovo sistema politico potrà davvero «agire quale educatore», contrastando la modernità decadente ed effemminata?
«1) Il servizio militare obbligatorio con delle vere guerre che fanno cessare ogni scherzo.
2) La ristrettezza nazionale (che semplifica e concentra);
3) Una nutrizione migliore (carne).
4) La pulizia crescente e la salubrità delle abitazioni.
5) Il predominio della fisiologia sulla teologia, la morale, l’economia e la politica.
6) La severità militare nelle esigenze e nella pratica dei suoi « doveri » (non si loda più….)»24
Permangono ancora alcuni nemici all’affermazione della Grosse Politik: fra gli altri, il «piccolo spirito inglese» (England’s Klein-geisterei)25 – o meglio, il modo di produzione capitalistico – e quindi, gli stessi schemi utilitaristici (anch’essi di origine «albionica») con cui si profila un’«avvenire americano»26, eventualità da lui definita «pericolo mortale»; e il nazionalismo, «piccolo nazionalismo», che impedisce l’accorpamento dell’Europa sotto il regime degli spiriti più alti. «Questo stato assurdo dell’Europa non può durare più a lungo! Esiste qualche pensiero dietro questo nazionalismo da bestia cornuta? [..] La lotta per la supremazia in mezzo a condizioni che non valgono nulla: questa civiltà delle grandi città, dei giornali, della febbre e dell’«inutilità». L’unificazione economica dell’Europa si realizzerà inevitabilmente e, con questa, il partito della guerra» Sintesi del Nietzsche politico L’interesse sul nesso tra filosofia e politica nel pensiero di Nietzsche si è fatto, negli ultimi anni, particolarmente consueto.
Ciò non a sproposito: un pensatore così impegnato nella critica della civiltà, e nell’augurio della nascita di nuovi valori, non può che essere radicalmente politico. Ma una tale denominazione può essere comprovata solo dalla bilancia tra contestualizzazione storica e ricostruzione della doctrina.
Testimone della crisi degli Stati-nazione, del dirompente evolversi del capitalismo, della modernità sempre più decadente, Nietzsche è anche il teorico di un Kulturstaat sul modello greco dapprima, e di uno Stato organico volto all’allevamento di uomini superiori poi. Per poter definire concisamente la dottrina politica del filosofo tedesco bisogna tenere conto principalmente del suo stadio più maturo – quello della Grosse Politik. Innanzitutto, qui, la politica si fa pura volontà di potenza, conflittualità e contraddizione tra forze opposte. In secondo luogo, essa diviene organo degli istinti di una classe: c’è una politica delle «classi ascendenti» e una politica delle «classi decadenti». Il Nietzsche maturo è avverso, si è visto: al sistema democratico, in quanto i «naturali differenti gradi di potenza»27 sono ignorati in vista di una «immaginaria uguaglianza dei diritti e dei suffragi»28; al «liberalismo», sinonimo di «imbestiamento da gregge dell’umanità», espressione ideologica del «mercantilismo» e dell’«utilitarismo»; al «conservatorismo», vacuo filisteismo tipico delle borghesie; al socialismo (di cui non risparmia elogi) 29, in sua opinione «idealistico» ed «egualitario» 30; al nazionalismo, nemico dell’unità europea ed «egoismo delle masse».31 Il fine della sua azione è la creazione di un tipo umano superiore, perciò designa una politica gerarchica, ispirata ad exemplum dal sistema delle caste indù, in cui i singoli vengono separati in base alla loro potenza e al loro essere.
Una volta realizzati nel loro potenziale, essi debbono essere dispiegati al massimo nell’ammastramento del Superuomo: solo così ognuno potrà obbedire alla propria natura. In tal senso, utilizzando il linguaggio delle caste induiste (ben conosciuto e approfondito dal filosofo), al vertice della Varna (gerarchia delle caste) ci saranno gli Kshatryia (guerrieri), come «ceto medio» i Sudras (servi, lavoratori), i quali possederanno la «decisione politica»; la classe dei brahmana (sacerdoti, preti) sarà invece relegata al rango dei «parìa», in quanto «calunniatrice della vita». Infine, gli elementi dapprima segregati alla base della piramide, le classi «screditate», ora ascenderanno a un ruolo più alto (Nietzsche fa l’esempio dei «bestemmiatori», degli «immoralisti» e degli «ebrei»).32 Nietzsche vuole restaurare quindi una legge della vita, una gerarchia della potenza che sia in grado di andare oltre (e contro) il dominante nichilismo passivo.
Ricordiamoci: «la politica è l’organo del pensiero nella sua totalità».33 Oggigiorno, quando la «situazione» descritta dal pensatore di Röcken un secolo e mezzo orsono si è realizzata in modo più concreto e drammatico, quando il «nihil» si è fatto mano a mano più avvilente e il mondo sempre più «vasto» (Vastus: vuoto, desolato), si avverte ancora di più la necessità in primis di una «filosofia della forza» quale quella di Federico Nietzsche, e in secondo luogo anche di una «Grande Politica» che sappia essere rivolta e azione contro la conformità e la decadenza della società borghese. Perché è l’ora che il pensiero non si occupi più di interpretare il mondo, ma che tenti di cambiarlo.
Note prima parte:
- Epistolario 1850-1869
- Epistolario 1850-1869
- Epistolario 1850-1869
- Umano, troppo umano
- Frammenti postumi 1876-1877
- Il viandante e il suo cammino
- Umano, troppo umano
- Il viandante e il suo cammino
- Umano, troppo umano
- Umano, troppo umano
- Epistolario 1880-1884
- Crepuscolo degli idoli
- Frammenti postumi 1885-1887
- Epistolario 1885-1889
- Frammenti postumi 1888-1889
- L’Anticristo
- Nietzsche, il ribelle aristocratico (D. Losurdo)
- Frammenti postumi 1887-1888
- Nietzsche, il ribelle aristocratico (D. Losurdo)
- Frammenti postumi 1888-1889
- Epistolario 1885-1889
Note seconda parte:
- Genealogia della morale
- Frammenti postumi 1869-1874
- Lo Stato dei Greci
- Umano, troppo umano
- Aurora
- Umano. troppo umano
- Umano. troppo umano
- Umano. troppo umano
- Umano. troppo umano
- Il viandante e la sua ombra
- La volontà di potenza
- La volontà di potenza
- Stato e politica di Nietzsche (F. Ingravalle)
- Frammenti postumi 1888-1889
- Frammenti postumi 1888-1889
- Ecce Homo
- Epistolario 1885-1889
- La volontà di potenza
- Frammenti postumi 1886-1887
- La volontà di potenza
- Considerazioni finali
- Sull’utilità e il danno della storia per la vita
- La volontà di potenza
- La volontà di potenza
- Frammenti postumi 1886-1887
- Frammenti postumi 1886-1887
- La volontà di potenza
- Aldilà del bene e del male
- La volontà di potenza
- La volontà di potenza
- Frammenti postumi 1888-1889
- La volontà di potenza
- Sul pathos della verità